31 Ott Come l’intelligenza artificiale in cantina può fare il vino più buono
Barolo e industria 4.0 sembrano un ossimoro della vinificazione. In realtà qualsiasi vino, cui associamo gusto o memoria di qualcosa che ci riguarda, può essere contraddistinto da tantissimi attributi, ma non quello industriale. È un dileggio, un affronto, una diminutio dell’intelligenza delle mani.
Ma secondo Claudio Viberti, barolista di terza generazione dell’omonima azienda famigliare di Vergne (in provincia di Cuneo), non bisogna farsi tradire dalle apparenze del termine industria 4.0: “Se applicata al nostro mondo, serve a salvaguardare ed esaltare l’artigianalità di un prodotto che oggi, per svariati motivi, fra cui i cambiamenti climatici, non si riesce più a fare come vorremmo – ci ha raccontato – L’obiettivo di mantenere quel gusto della tradizione ci obbliga a comportarci diversamente. Non possiamo farlo con gli stessi metodi, sarebbe una presa in giro”.
Le certezze metropolitane potrebbero vacillare: là dove si ha ancora il mito del “vino del contadino” (che nelle Langhe si guardano bene dal bere, tranne rare eccezioni) è andata persa qualche puntata sull’innovazione in cantina. La tecnologia, e soprattutto la declinazione 4.0, consente un monitoraggio più accurato, previsione degli effetti degli interventi, una gestione puntuale delle tempistiche e di altri stadi della produzione. Perché fino a prova contraria spremere l’uva e metterla in botte è una cosa ben diversa dal fare il vino.
Fonte: repubblica.it